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giovedì 12 settembre 2013

Perché si dice "villaggio globale"?

In questi anni di tumulti digitali e superaziende alla ricerca della nuova rivoluzione nel campo dei media, spesso si sente l'espressione "villaggio globale" per indicare la condizione attuale del nostro mondo postmoderno fittamente interconnesso.

Come in un villaggio, infatti, tutti sanno tutto di tutti, così le nostre reti di comunicazione sono in grado di trasportare le informazioni da una parte all'altra del globo a una velocità approssimabile a quella della luce. Internet è profondamente pettegolo e totalmente responsabile dello stravolgimento del nostro concetto di prossimità: prossimo non è più sinonimo di vicino, poiché la comunicazione a distanza in tempo reale ha decisamente contratto le distanze.

L'espressione di "villaggio globale" si deve a Marshall McLuhan, che la introdusse già a partire dai suoi libri di inizio anni '60 (The Gutenberg Galaxy, 1962, e Understanding Media, 1964) per poi svilupparla in altri titoli, come War and Peace in the Global Village (1968) e il postumo The Global Village: Transformations in World Life and Media in the 21st Century (1989).

A partire dal suo mantra il medium è il messaggio, è ben nota la capacità di McLuhan di inventare formule retoriche in grado di lavorare come sonde esplorative per capire la galassia dei nostri sistemi di comunicazione. Anche se leggermente demodée, la metafora del "villaggio globale" è ancora ampiamente utilizzata. L'origine dell'espressione, ci ricorda Eric McLuhan, figlio di Marshall, si deve a una rielaborazione di concetti già presenti in Joyce e Windham Lewis, in particolare quest'ultimo scrisse in America and The Cosmic Man (1949): "the earth has become one big village, with telephones laid on from one end to the other, and air transport, both speedy and safe..."

Lewis e McLuhan erano amici e probabilmente discussero insieme di questi argomenti. Tuttavia lo sfondo teorico in cui si inquadra la metafora di villaggio globale è decisamente mcluhaniano.



"Villagio globale" è dunque una fortunata etichetta per indicare la contrazione della comunità umana dovuta all'azione avvicinatrice dei media elettrici. Questo processo inizia con l'invenzione del telegrafo e continua fino ai giorni nostri con l'evoluzione delle reti globali di comunicazione e l'uso massivo di social network.

Anche se la metafora è di comune utilizzo, il suo significato ha delle profonde conseguenze filosofiche. Per comprendere queste conseguenze è necessario fare un passo indietro di un paio di millenni fino all'Aristotele della Politica.

In questo libro, il filosofo greco cerca di inquadrare i principi che regolano il comportamento delle comunità umane, indagandone forme e modalità. Aristotele ha una preferenza per la forma organizzativa della città (che in greco si dice, appunto, polis), la più perfetta delle comunità umane.

La famiglia è la prima comunità umana che, per natura, si costituisce per la vita di tutti i giorni. Il villaggio, derivato dall’unione di più famiglie, sorge per "soddisfare un bisogno non strettamente giornaliero". E, infine:
"La comunità perfetta di più villaggi costituisce la città, che ha raggiunto quello che si chiama livello di autosufficienza"
Questo attributo di autosufficienza è molto importante: 
"Nell’ordine naturale la città precede la famiglia e ciascuno di noi. Infatti il tutto precede necessariamente la parte, perché tolto il tutto, non ci sarà più né piede né mano, se non per omonimia. Dunque è chiaro che la città è per natura e che è anteriore all’individuo perché, se l’individuo, preso da sé, non è autosufficiente, sarà rispetto al tutto nella stessa relazione in cui lo sono le altre parti"
Il villaggio globale è dunque una nuova forma estesa che caratterizza la comunità umana. La teoria aristotelica punta sull'indipendenza della forma-città, mentre il villaggio è visto come una comunità imperfetta proprio in quanto non autosufficiente. Ma è proprio il processo di globalizzazione che permette di rivalutare positivamente (a differenza di Aristotele) l'interdipendenza delle comunità umane l'una dall'altra.

La città è stata per parecchi secoli la massima espressione in cui si organizzavano le comunità umane. Ma la forma-città si è ora come sciolta nel mare delle comunicazione istantanea e della velocità dei trasporti. La metafora del "villaggio globale" rappresenta dunque l'abbandono di un modo di concepire le comunità umane che, come abbiamo visto, risale fino all'epoca classica della filosofia greca.

Carlo Peroni

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