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mercoledì 4 settembre 2013

Una media company per il ventunesimo secolo. Il caso betaworks

Qualche giorno fa, ho scritto di Dots, un gioco per iOS e Android davvero minimale ma estremamente curato. L'applicazione mi ha colpito per svariate ragioni, oltre alla sua indubbia piacevolezza videoludica.

Ho iniziato, dunque, a chiedermi chi ci potesse essere dietro qualcosa di così ben progettato. Dopo una breve ricerca ho trovato non solo la risposta alla mia domanda, ma qualcosa di più.

Quello che ho trovato è un'idea, un progetto, addirittura una visione inedita in spirito tecnocapitalista del mondo online e di quello offline.

A new medium company


Dots è stato sviluppato da betaworks, compagnia tech con sede a New York. Betaworks ha un claim affascinante: a new medium company (che poi da altre parti diventa un altrettanto accattivante a company for builders). La compagnia, una specie di ibrido tra fondo di investimento e incubatrice di start-up, si mostra sapientemente al mondo esterno come un grosso ed eclettico studio web.



Il gruppo che sta dietro a Dots in realtà si pone come ambizioso obbiettivo quello di ridefinire dalle fondamenta il concetto di media company per adattarlo alle esigenze e alle dinamiche del 21esimo secolo.

Siamo a New York, non a Los Angeles, la cura per i dettagli lo dimostra. Se volete sapere di un'altra figura di primo piano della scena tech newyorkese leggetevi questo bel pezzo di Manuel Peruzzo sul fondatore di Tumblr, David Karp. Come nota Peruzzo, le webcompany della grande mela stanno assumendo uno stile peculiare, più raffinato e sfaccettato rispetto alla mitologia libertaria e vagamente utopistica della Silicon Valley californiana. Di Tumblr, infatti, betaworks è stata una tra i primi finanziatori, anche se ha ceduto le sue quote nel contesto dell'acquisizione di Yahoo.

I brillanti dipendenti di betaworks sono al lavoro su molteplici fronti. Per fare alcuni esempi, oltre a Dots e a Tumblr, ci sono Giphy, un motore di ricerca per GIF; Poncho, un'applicazione per le previsioni del tempo e Telecast che raggruppa i video di YouTube in base agli interessi dell'utente. 

Poi c'è Tapestry, un'applicazione per creare testi su Ipad; Instapaper, che sarebbe un cosiddetto read-it-later, ovvero un tool per salvare contenuti di cui disporre offline. Per non parlare di Digg, un aggregatore di news che ha avuto il suo periodo di notorietà. Passato l'hype è stato comprato per 500,000$ dal gruppo che l'ha prontamente utilizzato come testa di ponte per entrare nell'arena degli RSS reader, apertasi dopo che un gigante come Google ha deciso di uscire di scena.

Secondo il CEO, John Borthwick, il futuro del mercato dell'informazione si snoda attraverso quattro principali esigenze del lettore/fruitore: discovery, saving, slow reading e fast reading. Betaworks sta cercando di assumere sempre più rilevanza strategica per soddisfare ognuno di questi aspetti. Non dimentichiamoci poi che tra i prodotti fa la sua comparsa anche bit.ly, servizio di url shortening che permette di monitorare la diffusione dei vari contenuti postati dal creatore degli stessi.

Senza troppi clamori betaworks si è dunque guadagnata pezzo per pezzo un ruolo importante nella gestione, condivisione e diffusione di news e contenuti di vario genere ( a proposito del ruolo editoriale del gruppo sul web, questo articolo di mashable mi è piaciuto tantissimo anche per come dipinge il ciclo di vita delle news online: The Company That's Buying the Online News Ecosystem).

Crea, compra, finanzia.


Mentre colossi come facebook hanno un corebusiness ben definito, betaworks presenta un insieme di servizi autonomi l'uno dall'altro. Pur non rappresentando un ecosistema integrato come quello di Google, ogni prodotto di betaworks ha il suo ruolo strategico per il gruppo e la compagnia è come un puzzle dove ogni pezzo si incastra perfettamente.

Fondata nel 2008 la compagnia si presenta così nel database di Techcrunch: "A tightly linked network of ideas, people, capital, products and data brought together in imaginative ways to build out a more connected world". Il tono è leggermente entusiastico ma i contenuti sono accattivanti. Si va anche più nel concreto, trovando risposte a domande come: quanto investe betaworks? Secondo quali modalità e criteri? Che tipo di persone cercano? 

L'investimento tipico si aggira tra i 150,000-200,000$. L'azienda in cui si investe deve essere una start-up ad alto contenuto di innovazione con un prototipo realmente funzionante del proprio tool/servizio. Nessuna idea o progetto in astratto: l'azienda sottolinea di essere una powerpoint-free zone.

In una sua dichiarazione di intenti l'azienda afferma che il tipo di persona che cerca è qualcuno interessato a sviluppare più idee, piuttosto che portarne avanti, per anni, una soltanto: "We attract the kind of people who could start their own company, but they don’t necessarily want to run a company. They’d rather be the co-founder of eight things than tied down for years as the sole founder of one. They’d rather build".

Si tratta dunque di una realtà complessa, dinamica e sfaccettata. Per il CEO di betaworks andare a fare la spesa significa comprare la start-up che più gli aggrada in quel periodo. The Verge riassume la strategia di business di betaworks in build, buy, invest.

Il blog dell'azienda a proposito afferma che l'azienda crea, finanzia e acquisisce altre compagnie più piccole. Ognuna di queste tre attività permette all'azienda di sperimentare ampliando il proprio network. Nella sua -breve- storia, betaworks ha finanziato, acquisito o creato quasi 100 compagnie più piccole.

 

Un CEO che ci sa fare


La politica di betaworks non esclude, ma anzi mette preventivamente in conto possibili fallimenti, che devono essere però limitati e metabolizzati velocemente. Si lavora su molteplici fronti, non uno soltanto, e non si ha paura di tagliare i rami secchi, abbandonando i progetti che non funzionano. Betaworks può permettersi di uccidere un proprio tool, poiché i suoi investimenti sono molteplici e non solo vincolati ad un unico prodotto.

Betaworks, come è cosa comune per i grossi nomi del web, ha portato avanti una serie di importanti acquisizioni volte più a incamerare know-how piuttosto che a cercare di monetizzare direttamente l'investimento. Tutto ciò ha reso l'azienda uno dei protagonisti della scena tech newyorchese e non solo. Betaworks è una compagnia al centro della app revolution che si annovera tra le aziende di innovazione che stanno aspettando il proprio momento di ribalta nel ciclico avvicendarsi dei top player del settore. Di sicuro propone un modello di business allo stesso tempo solido e innovativo.

Celebri soni diventate le lettere di inizio anno agli azionisti, scritte dal CEO, in cui viene eloquentemente presentato il modo in cui l'azienda vede se stessa e il campo in cui opera. Le lettere sono disponibili e rappresentano una lettura interessante per chi è interessato all'evoluzione del mercato dei servizi online.

5. Un modello da imitare?


Le basi ci sono, il capitale anche. Ma c'è, soprattutto, un'idea, una visione di insieme che vede Betaworks giocare un'importante ruolo nel ridefinire ciò che si può fare della tecnologia.

Ma potrebbe essere la scena tech di New York un buon modello per le realtà italiane che vogliono investire in tecnologia e servizi per il web?



Città come Milano potrebbero rappresentare un buon terreno di coltura, dato il buon numero di start-up attive. Sia mai che qualche investitore avesse l'illuminazione di raggrupparne alcune. Magari si potrebbe tirar fuori qualche opportunità di business facendo confluire una manciata di realtà interessanti. Come betaworks ha dimostrato, una buona acquisizione può dimostrarsi più geniale di un'idea partorita in proprio.

Forse il quadro che ho dipinto è fin troppo roseo e sopravvaluto il buon esito di una possibile applicazione di un tale modello nel contesto del nostro paese. Tuttavia, betaworks mi sembra portatrice di un nuovo tipo di approccio. Certo un approccio di stampo capitalista, ma di un capitalismo reso forse un poco più umano per l'essersi totalmente immerso nell'oceano della comunicazione digitale.

Carlo Peroni
@freakycharlie


PS: Tutti i link sparsi nell'articolo li trovate meglio ordinati (più qualche aggiunta) nella lista appositamente creata grazie al nuovo e bellissimo servizio offerto da urli.st - dateci un occhio se avete segnalibri e preferiti vari sparsi in giro da sistemare e condividere. Io l'ho trovato davvero utilissimo!

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