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martedì 22 gennaio 2013

Una macchina più umana: "1984" e il Macintosh



Ricorre oggi l’anniversario dello storico spot della Apple andato in onda il 22 gennaio 1984 durante il XVIII Superbowl. Il computer, caratterizzato dall’innovativa GUI, Graphic User Interface, era il pioniere di un nuovo modo di intendere l’interazione uomo-macchina. Non più le scomode istruzioni sulla linea di comando del terminale, ma un nuovo e più intuitivo modo di gestire metafore digitali di oggetti più conosciuti, come cartelle e scrivanie: il Macintosh dava inizio a una nuova era dove il computer diventava user friendly al pari di qualsiasi, più umile elettrodomestico. Diventava a disposizione di tutti l’immensa possibilità operativa delle general purpose machine. La macchina si liberava dalla sua specializzazione per trovarsi di colpo proiettata nell’instabile mondo degli affari umani.

Ci trovavamo a tutti gli effetti davanti a due filosofie, quella della GUI e quella della CLI, la più tradizionale Command Line Interface. Puristi contro fricchettoni, bambini che giocano contro razionalissimi ingegneri. Apple scelse la carta del nuovo medium colorato e non specializzato, dando il via a generazioni di smanettoni non tecnici, che, nutriti da sempre più cangianti pacchetti Adobe con cui raggiungere nuove vette nel fotoritocco, cercavano di costruire nuove realtà, fino ad anelare al miraggio delle nuove realtà virtuali. Ma la macchina non sostituisce il mondo, lo scimmiotta e basta. Lo spot dell’84 andava in onda sul vecchio medium, la televisione, durante uno degli eventi con più spettatori. Una buona cassa di risonanza, insomma. La televisione, nel pieno di quegli anni ’80 come lei così passivi-aggressivi, lanciava il media che ne metteva in discussione i presupposti, la macchina interattiva universale.



Il riferimento culturale non poteva essere dei più ambiziosi, quel “1984” di Orwell che si presentava come la distopia per eccellenza, un mondo grigio e omologato dove la gente, attraverso una diffusa programmazione neolinguistica che estirpava vocaboli e concetti dalla multidimensionalità risonante del linguaggio umano, si vedeva sempre meno general purpose e sempre più specializzata, come le vecchie macchine che il Macintosh prometeva di sostituire. Così Apple ci prometteva la liberazione, un mondo casual di soggettività che troverà il suo Eldorado nell’ottimo clima della California del sud.

Quella dei computer è la storia di una macchina che si avvicina all’essere umano, che lo asseconda, che si insinua nelle sue attività sociali trasformando la percezione che abbiamo della realtà sociale, anche soltanto della sua porzione a noi più prossima. Oggi la querelle filosofica tra GUI e CLI sembra qualcosa che va bene per i nostalgici degli anni ’90, mentre invece siamo al centro di un’altra rivoluzione che ha prodotto nuovi artefatti che si possono riassumere nella sigla UMC, Ubiquitous Mobile Computing. Macchine interattive nelle tasche di chiunque, con sensori e un’incredibile e diffusa capacità di calcolo. Leggere i dati, soprattutto quelli grandi, i Big Data, diventerà probabilmente una nuova forma, più oggettiva forse, di divinazione. Quella del Macintosh era una promessa troppo alta da mantenere, era un sogno, una visione. Oggi la società del controllo dipinta in “1984” ce la abbiamo davanti, giusto un po’ più colorata, casual e interattiva.

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