Non sono solo gli ultimi giorni
della vecchia era, in cui i dinosauri zombie in parlamento stanno per traslarsi
direttamente nel prossimo capitolo dei misteri italiani. È anche un tempo dove
pseudo-nuovi mostri e mostriciattoli tentano di insinuarsi tra gli spazi vuoti
lasciati dalla prossima futura apocalisse mediatica. In epoca di transizione è dunque
giusto chiedersi chi la transizione la tiri, come se la stia giocando e quali siano
i pesci grossi e quelli piccoli.
Ma in questo piano multidimensionale
ipercaotico che chiamiamo realtà non tutto è cosi intelligibile. Per aggirare
l’annosa questione del rinnovamento della classe politica credevo che nel
frattempo tanto valeva divertirsi. Avevo perciò già acquistato la tessera
Mediaset Premium, ma sembra che Gesù ci abbia negato la possibilità di
assistere allo spettacolo dada post-berlusconiano delle primarie del PDL.
Dato che le primarie del
centrosinistra si sono concluse in un clamoroso anticlimax di mosciume dopo le
scoregge infiammate esibite su Cielo, aspettavo con trepidazione la replica
degli altri, ovvero ciò che rimane dell’area un tempo occupata da Forza Italia,
AN ed entità paradossali come la Santanché.
Colei che negli ultimi giorni, per
qualche emozionante momento, mi ha svegliato dal coma cerebrale televisivo è
stata Giorgia Meloni, la Renzi del PDL, la Giovanna D’Arco della nuova destra
romana, che chiede a gran voce un rinnovamento della classe dirigente del
partito, che tra l’altra penso se la stia ancora ridendo.
http://www.generazioneitalia.it/2011/08/22/la-meloni-perde-piu-punti-di-piazza-affari-meglio-tacere/ |
Mentre dunque mi ritrovavo orfano
di infotainment decente e mi accontentavo di guardare la Meloni
spadroneggiarsela a Ballarò, mi perdevo tra futili elucubrazioni. È infatti tempo
di scontro tra media, ovvero tempo di scontro tra diversi modelli
socio/antro/tecno politici. Ma c’è un problema, questo problema è che la
politica, come tante altre cose, è fondamentalmente un racconto. Un racconto
che nostro malgrado abitiamo tutti quanti. Dipende tutto da quale narrazione
ciascuno occupa.
La gente crede di trovare i fatti
sociali e politici come trova le castagne sotto i castagni. Non è cosi
semplice. In realtà quella stessa gente vive all’interno di una gigantesca
narrazione creata da altri. Non c’è nessun male nella narrazione, la
narrazione, ovvero vivere in un contesto di pratiche ludico-narrative, è
fondamentale per la comprensione della realtà in cui viviamo che altrimenti
sarebbe soltanto un’accozzaglia di informazioni non organizzate.
Il problema è che una volta c’erano
istituzioni che mantenevano più meno una
narrazione continua e coerente, comprensiva e coestensiva alla realtà sociale,
tipo la chiesa, il nazismo, RaiUno. Oggi le narrazioni si sono spaccate, non
c’è più un sistema simbolico univoco di riferimento, per dirla in termini
altisonanti. Ce ne sono n. Il
problema è che viviamo con i piedi in due scarpe, molte scarpe anzi. Siamo come
bruchi che hanno molti piedi in molte scarpe diverse. Le scarpe sono i sistemi
simbolici di riferimento, se non l’avete capito. I vari sistemi sono in
contraddizione tra loro, sviluppano un conflitto. Questo conflitto attraversa
ognuno di noi. In quanto ognuno di noi abita i vari contesti di riferimento,
scuola, casa, lavoro, amici, intrattenimento, politica.
Ogni ambito si basa su
narrazioni differenti. E dunque la realtà non è univoca, ma dipende un po’ da
come la si rigira. Scegliere cosa credere è una scelta politica, non privata.
Scegliere cosa credere sviluppa è un qualcosa di cui essere in qualche modo
responsabili. In questo periodo di confusione la scena politica ci presenta
tutta una serie di scelte politico-narrative con alto tasso fideistico. Il mio
consiglio è quello di credere il meno
possibile. Provate a divertirvi invece, se ci riuscite.
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