È
strano che in un paese come l’Italia, fondato sul fichi fichi e il magna magna,
le tipe si sorprendano ancora di essere quotidianamente scannerizzate da
vogliosi e mal dissimulati sguardi maschili. Si parlava giusto l’altro giorno
con un mio amico di come sia ingiusto e, lasciatemelo dire, pure bigotto che
una innocente pacca ben assestata su un culo meritevole possa essere
considerata molestia. Lo so cosa state pensando: l’Italia è un paese
retrogrado. E avete ragione, cazzo.
Ieri
poi mi è capitato di finire sul blog del Deboscio, dove, in questo post,
la discussione teorica ha toccato l’argomento al centro dei pensieri di tutti
gli italiani: i leggings. Il Deboscio riprende una rubrica di Maria Laura
Rodotà, che tenta di spiegare il fenomeno del culo in bella vista attraverso
sottili analisi sociologiche dai profondi risvolti sulla geopolitica mondiale.
http://www.yogapantsarchive.com/10 |
La
tesi della Rodotà è semplice: i leggings (o yoga pants o, ancora, per capirsi,
quella cosa che assomiglia a una calzamaglia) sono un capo di abbigliamento da
troia. Il Deboscio ci fa notare come la giornalista nasconda il suo
ragionamento dietro il politically correct: non troie, ma “sgallettate”. Ok
scrive sul Corriere e una certa terminologia le è preclusa, comunque il
concetto è chiaro. Il centro della riflessione è infatti il seguente circolo
ermeneutico: “Ci mandano solo i legginz perché siamo ormai un Paese di
sgallettate o rimaniamo un paese di sgallettate perché troviamo in vendita solo
legginz?”
La
Rodotà se la prende dunque con le multinazionali che mandano nei negozi
italiani solo vestiti da troia. Il Deboscio ci aiuta nella interpretazione e ci
spiega come la giornalista probabilmente alluda “a quel famoso pacchetto di
accordi che avevano già fatto il Sifar e la Cia tanti anni fa per tenerci tutti
buoni e arretrati”.
Forse
l’indignazione della Rodotà è giusta, eppure sfido a trovare un maschio qualsiasi che non apprezzi queste improvvise svolte della moda.
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