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martedì 27 agosto 2013

Un'ossessione a puntini. Recensione di Dots

Da qualche giorno Dots è arrivato su Android e già si è aggiunto alla lista di cose che tentano la mia debole volontà di procrastinatore seriale. Questa volta, però, la responsabilità è degli sviluppatori di Betaworks che hanno sapientemente azzeccato colori, suoni e un'interfaccia impeccabile. Il tutto si integra perfettamente in un ambiente sgombro e pulito che è un vero e proprio giardino zen rispetto alla media decisamente cheap degli altri titoli per mobile.


Ecco ben 5 motivi che rendono Dots particolarmente interessante:

  1. è gratuito (senza neanche fastidiose pubblicità all'interno)
  2. ha una grafica decisamente minimale
  3. crea immediata dipendenza
  4. la parte degli effetti sonori è davvero ottima
  5. il gameplay sembra un quadro di Damien Hirst


Lo scopo è semplice e non rappresenta nulla di radicalmente nuovo: unire in verticale e orizzonatale i puntini di uno stesso colore disposti nella matrice di gioco, facendoli scomparire e guadagnando punti a seconda di quante connessioni sono state effettuate. Disponibile su iOS fin già da Marzo 2013, Dots ha fatto la sua comparsa per Android lo scorso 15 agosto. Per l'occasione Betaworks, ha introdotto una nuova modalità di gioco, senza limiti di tempo ma a numero limitato di mosse, che si aggiunge a quella già esistente che prevede micro round di 60 secondi.

La nuova modalità permette di meglio entrare nella filosofia del gioco, ampliandone anche il possibile target oltre ai giocatori compulsivi. Dots è un prodotto semplice, curato in ogni dettaglio, con una precisa idea di pulizia ed essenzialità nel design che si riflette anche nel gameplay.

Le due modalità di gioco si presentano come due approcci completamente diversi al mondo di Dots: da una parte sono richiesti istinto e velocità, dall'altra, invece, riflessione e strategia. Nella sfida a tempo bisogna puntare all'abbondanza, ma senza trascurare la possibilità di punti extra attraverso le combo (che si attivano chiudendo le figure), nella sfida a mosse, attraverso un'attenta economia delle scelte, sono fondamentali un calcolo ben ragionato e una certa attenzione alla visione di insieme.




Se poi ci giocate, ricordatevi di chiudere i quadrati, che i punti si fanno così! Se volete c'è chi ha scritto anche una vera e propria guida di strategia (è pre-update, ma i consigli ben si applicano anche alla versione aggiornata).

I meccanismi di premi e ricompense stuzzicano il sistema limbico del giocatore, già ipnotizzato dall'essenzialità ordinata delle sfere colorate. Inoltre la possibilità di acquisire abilità speciali attraverso i punti conquistati rende l'esperienza di gioco ancora più varia e stimolante (i punti si possono acquistare anche in-app con soldi veri, ma scegliere di non farlo non pregiudica assolutamente l'esperienza di gioco, poiché le abilità speciali sono facilmente ottenibili senza dover fare nessun acquisto, basta giocare).

Una curiosità è che il gioco è nato praticamente per caso. Patrick Moberg, sviluppatore di Betawork, non stava lavorando a nessun progetto per il mercato dei giochi, ma stava sperimentando diverse modalità di interfaccia in ambiente iOS per un'altra applicazione della compagnia, Tapestry, quando ha intuito le potenzialità per quello che poi sarebbe diventato Dots. Betaworks non ha dunque esitato a prendere la palla al balzo e far uscire la sua prima applicazione videoludica.

Un po' Tetris, un po' Puzzle Bubble, un po' Candy Crash, Dots presenta un'esperienza piacevole e divertente che rischierebbe semplicemente, per i soggetti più sensibili, di diventare un disturbo ossessivo-compulsivo (l'applicazione ha un insaziabile appetito per la carica della batteria, sicuramente per scoraggiare possibili dipendenze).

Tra le due modalità la mia preferita è senza dubbio quella a numero di mosse, appena introdotta, un vero rompicapo che stuzzica un certo modo logico e geometrico di ragionare, senza dover star dietro alla compulsiva frenesia dei 60 secondi. Dots è a tutti gli effetti un gioco che sfrutta appieno le possibilità videoludiche di smartphone e tablet poiché l'interfaccia tattile, almeno sul mio S3, risultà davvero impeccabile e perfettamente sincronizzata con gli ipnotici effetti sonori, che sviluppano sequenze di note in sincronia con i collegamenti effettuati, alzando il pitch e ricompensando acusticamente i buoni collegamenti. Dots è, dunque, una piacevole micro esperienza videoludica, nonché una buona scusa per astrarvi un poco dalla fastidiosa realtà che probabilmente vi circonda. 

Carlo Peroni

domenica 14 luglio 2013

La Grandiosa Favola dei Robottoni - Recensione di Pacific Rim

Ieri sera sono andato a vedere il nuovo supercolossal Pacific Rim. Era da parecchio che non andavo al cinema, eppure Pacific Rim è uno di quei film che deve essere visto al cinema, poiché la maestosità della messa in scena necessita uno schermo di grosse dimensioni, come di grosse dimensioni sono le due entità che caratterizzano il film: i Kaiju, creature aliene di lovecraftiana fattura, e gli Jaeger, robottoni umanoidi a energia atomica controllati da un tandem di umani in comunione neurale.

Il gigantismo delle proporzioni e l'iperbolica scala dell'azione sono le vere leve su cui si gioca la potenza e la godibilità del film. Intere navi vengono usate come mazze in scene maestose dove la figura umana scompare nella sua piccolezza. La bravura di Guillermo Del Toro è infatti quella di saper gestire le sequenze caratterizzate dalle grosse dimensioni di Kaiju e Jaeger e quelle che invece ritraggono la più piccola e delicata scala degli eventi umani.


Pacific Rim

La vicenda

La vicenda si basa su di un'idea semplice e neppure così originale: un mostro gigante e un robot gigante che si menano di brutto. Eppure Del Toro da quest'idea tira fuori tutte le conseguenze del caso, traducendole in lunghe, epiche, per non dire sublimi, sequenze di combattimento tra il campione-robot di turno e la sua controparte Kaiju, animalesca e aliena.

L'aspetto della sceneggiatura è ridotto all'osso. Ma in questo caso si può dire che less is more, poiché il mancato approfondimento della psicologia dei personaggi si traduce a tutto vantaggio di scene d'azione massive e sinesteticamente coinvolgenti (davvero belli sono colonna sonora ed effetti). L'impostazione fumettistica nel tratteggiare personaggi e situazioni rende il film godibile senza che i limiti di interpretazione causino delle cadute di stile a livello drammaturgico. A parte le scene più sentimentali, Pacific Rim ha davvero poche pause. La buona riuscita e il divertimento che suscita sono dovuti, oltre che all'azione, a un efficacie, per quanto semplice, intreccio di trame e sottotrame, capaci di svelare particolari importanti nel caratterizzare universo e personaggi, senza appesantire l'azione con inutili spiegoni.

Quello di Pacific Rim, come nota The Verge, è un universo lineare, di facile accessibilità, è per questo che manca una vera e propria parte introduttiva. Gli spettatori sanno quello che devono sapere, il resto si capisce veloce. La peculiarità di questa fiaba sci-fi è la sua capacità di integrarsi perfettamente in un immaginario condiviso tra mondo occidentale e orientale. Il film infatti si inserisce in questo filone di megamostri nati dall'immaginazione giapponese dopo le distruzioni apocalittiche delle bombe nucleari. Godzilla, i robot dei manga anni '80, i Tranformer: questo è l'orizzonte culturale del film, decisamente arricchito dalla capacità visionaria di Del Toro (di cui ricordo il bellissimo, seppure imperfetto, Labirinto del Fauno).

Implicazioni geopolitiche

La situazione politica e sociale è appena tratteggiata da poche scene, ma in questo mondo così simile al nostro - siamo nel 2020 - troviamo un'umanità piegata dai continui attacchi dei Kaiju, dove le condizioni economiche premono per un sempre più intenso sfruttamento del lavoro. Il muro che viene costruito per arginare i Kaiju è l'unico elemento su cui si giocano le decisioni dei leader mondiali, che non sembrano molto simpatici né lungimiranti. Come il film ci mostra, il muro non risulterà molto inutile. Il messaggio è chiaro, il muro è l'oscurantismo, il muro è simbolo della divisione. E il film non solo ci dice che i muri sono sbagliati, ma che sono pure inefficaci.

Gli Jaeger sono infatti figli di un programma globale, che riunisce i mezzi delle singole nazioni. L'umanità si trova unità a tifare per i super robot nei loro agonici scontri con i titanici Kaiju. Ma perché queste mostruose creature vengono sulla terra (attraverso un ponte multidimensionale il cui accesso è collocato in fondo all'oceano pacifico)? Perché sono predatori di mondi e attraverso l'inquinamento l'umanità ha tragicamente reso adatta la Terra a queste spaventose creature. Molto evocativo, no?

La tecnologia è, poi, uno degli elementi salvifici di questo film. Con tutta la potenza del mito della macchina, assieme a una passione per la meccatronica, gli Jaeger sono la metafora di una tecnica buona, capace di proteggere e non solo soggiogare l'essere umano. 

Il legame tra gli esseri umani è la scintilla capace di animare e dirigere la mastodontica complessità delle macchine. La stretta di mano neurale, ovvero la simbiosi delle menti per una coordinato controllo dello Jaeger, è quell'elemento umano irriducibile che rende Pacific Rim un film a suo modo ottimista nei confronti dei valori e delle capacità umane.

Una fiaba per il XXI secolo

Pacific Rim è senza dubbio un film divertente e ben costruito. Mi sembra davvero più leggero e meno banale di opere come Avatar e molto più intelligente di cose come i Tranformers. Del Toro così ci dimostra che un film d'azione può essere ben costruito e allo stesso tempo intelligente senza dover piegarsi a un realismo innaturale per il genere.

Ma ciò che mi ha più colpito è la meraviglia che il film è capace di suscitare, meraviglia per le scene di combattimento (perfette e maestose), ma anche per i robot (bellissimo quello dei russi) e per i Kaiju, così spaventosi e affascinanti. Mi ha colpito questo passaggio nella recensione del film di Annalee Newitz:
"Pacific Rim è una fiaba per questa epoca globale. Come tutte le fiabe, ha un semplice messaggio che riguarda il lavorare assieme per affrontare i pericoli. Ma è anche una specie di allegoria per quei problemi che l'umanità sta affrontando in questo XXI secolo, ovvero il riscaldamento globale e i disastri naturali la cui risoluzione trascende i tradizionali confini tra le nazioni, che, prese singolarmente, risultano impotenti."
In conclusione, da Pacific Rim ti aspetti robot che esplodono, città distrutte e tante mazzate. Ed è proprio ciò che ottieni. Onesto, non delude per nulla mantenendo tutte le promesse. Di sicuro è un film che da bambino mi sarebbe piaciuto moltissimo.

Carlo Peroni