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martedì 2 settembre 2014

50 sfumature di pruriginosità. Da James Foley a The Fappening, ovvero: la pornografia ai tempi della società del controllo


Spero di aver attirato la vostra attenzione, più di così non potevo. È davvero il titolo più denso, pretenzioso e complicato che potessi concepire. E questo perché non ho – ancora – un avvocato e ho preferito non correre il rischio di doverne assumere uno clickbeittandovi con le tette di Jennifer Lawrence.


Di questi tempi poi, se non sei dell’Isis, non hai contratto l’ebola o non possiedi una vagina che qualcuno voglia fotografare e mettere su internet (meglio almeno due di queste cose), attirare l'attenzione è diventato piuttosto difficile, data la concorrenza degli algoritmi. Sviare l'attenzione è, invece, abbastanza facile, dato il livello medio di intelligenza che dimostriamo nelle argutissime conversazioni online che ci tocca intrattenere. Per quel che mi riguarda, se posso evito e, di base, osservo, giudico ma, soprattutto, sorvolo. Ma non questa volta.

Internet è senza dubbio uno dei tanti capezzoli della macchina dell'infotainment da cui voracemente succhio il soave latte procrastinatore, fatto di stronzate predigerite e customizzate a misura del sottogruppo di consumo che Google mi ha assegnato. Ma internet ha, per sua e nostra fortuna, quella meravigliosa caratteristica della bidirezionionalità. Ovvero se internet ti butta addosso quotidianamente stronzate, ogni tanto puoi contraccambiare facendo finta di dire una cosa intelligente.

Ma torniamo a me.


"Applicate la giusta pressione e il cervello, come un muscolo, obbedirà ai vostri comandi", diceva Zach Galifianakis in A Cena Con Un Cretino, il film che stavo guardando ieri sera su Italia 1 mentre mi dicevo che uno non può sempre subire la pressione dei media mainstream e andarsi poi a leggere disinformazione.it di nascosto senza dirlo agli amici. Allora è meglio essere chiari e determinati fino in fondo e vomitare questa mia confessione, comprensiva di point of view, in questo piccolo recinto dove gli ultimi italiani non - ancora - analfabeti di ritorno possono scorrazzare liberamente, senza sporcare le piazze con sanpietrini e molotov.

Questa lunga premessa per dire: ho guardato le foto di The Fappening. In ufficio, commentando, come avete fatto voi, immagino. O se non l'avete fatto avete ascoltato/letto l'opinione di una/a:
  • che le ha guardate;
  • che non le ha guardate;
  • che spiega perché è sbagliato guardarle;
  • che spiega che non c'è niente di male a guardarle, che siamo uomini di mondo (in questi casi è un lui). Ma poi aggiunge che lui non le ha guardate - lui non fa queste cose - ma difenderebbe fino alla morte il tuo diritto di guardarle (anche se poi si tradisce perché ammette che la tipa che si infila lo stiracapelli nella patonza lo ha genuinamente sorpreso).
Poi ci sono le meta-opinioni, ovvero quando si parla non del fatto in sé, ma delle diverse opinioni che quel fatto ha generato, in una spirale ricorsiva che rischia di far smarrire le migliori menti del nostro tempo. E naturalmente se sei arrivato fino a qui (compimenti!, lo sai che l’89% degli utenti legge solo il titolo perché alla prima subordinata perde il soggetto?) starai provando il sospetto che i pixel che hai sullo schermo appartengano a quest’ultima categoria. Ma qua ti frego, io non sono meta. Io le ho guardate queste cazzo di foto. Le ho guardate in ufficio e poi le ho riguardate ieri sera a casa. So di cosa parlo.

So di cosa parlo perché mi sono innamorato.

Ok, forse esagero, più che un colpo di fulmine, si tratta di un ritorno di fiamma. Ma andiamo con ordine. Appena scaricato The Fappening mi stupisco di come le foto nel file siano ordinatamente divise per nome, una cartella per ogni fanciulla. La maggior parte di questi volti, culi e tette non mi dice niente. Credevo di essere più sul pezzo, su queste cose, ma sorvoliamo. Il punto è che tra queste sciacquette sconosciute si nasconde – gran sorpresa - uno degli amori che mi ha accompagnato dall’infanzia fino a questa lunga post-adolescienza: la sorella grande di Jumanji, la Maria Antonietta che ascoltava gli Strokes, la fidanzata di Spiderman… niente di meno che Kirsten Dunst! (Per dirla tutta anche Yvonne Strahovski non mi dispiace, però nelle foto non si vede la faccia - ora ha commentato dicendo che non è lei - e Chuck dalla terza stagione diventa proprio inguardabile.)



Nelle immagini la mia Vergine Suicida è nuda e mostra il seno. In una accenna un sorriso malizioso che non mi ricordo di aver visto in nessuno dei suoi film. È struccata e spontanea e davvero di un’altra categorie rispetto alle compagne più zarre. Penso che o è molto brava a farsi i selfie o è davvero di una bellezza unica, elegante e sensuale come poche altre. Da rimanerci secchi, anche se l’immagine è un po’ sgranata. In un altro scatto, in bianco e nero, è più seria, indossa solo degli orecchini e ostenta dei capezzoli molto spavaldi che farebbero tremare le ginocchia al più scafato dei corteggiatori.

Eppure, a mente fredda, mentre ora analizzo con un certo familiare disagio i miei sentimenti riguardo l’incomprensibile sfera delle relazioni amorose (che siano reali o immaginarie, non è questa la sede per discuterne), alcune comprensibili domande hanno iniziato a ronzarmi nel cervello: siamo arrivati a un nuovo livello di pornografia? Siamo forse come dei topi su cui viene sperimentato un nuovo e sofisticato metodo di controllo mentale? Sono stati gli Illuminati?

Non è questo il punto (anche se: sì; mi sembra eccessivo; a pensarci bene è abbastanza probabile). Il punto è che ci lasciamo far su come i bambini. È che poi bisogna provare a metterci anche un po' di distanza, a queste cose. Però non è neanche questo il punto. Perché il punto sono i capezzoli di Kirsten Dunst e i capezzoli della grande macchina dell’infotainment. Perché ora questo The Fappening diventerà un caso e si creeranno mille storie e sottotrame, in cui perdere interi pomeriggi navigando da un link all’altro, seguendo le pieghe che questa vicenda sta lasciando, con l’immensa gioia – immagino – di tutti gli avvocati coinvolti, nella vita di tutti i suoi protagonisti.

Tra i quali, come se non bastasse, c’è anche Apple, perché il leak (o qualche suo spezzone) sembra provenga da iCloud. E Apple ha in programma tra una settimana il suo grande evento ultra definitivo, la cui punch line, manco a farlo apposta, è “Wish we could say more!”. LOL! Io passerei oltre che non credo al complotto di Samsung, ma è proprio la mia amata a sottolineare la cosa con questo pungente ed ermetico tweet:

Non sembra avere molti dubbi sulla nuvola da cui sono stati presi quei sublimi autoscatti. Se fossi in quello che sta sulla sedia di Steve Jobs (Tim Cook, mi sembra, ma il suo nome, lo trovassi in un leak, probabilmente non lo riconosco) ci penserei due volte prima di far incazzare la tipa dell’Uomo Ragno. In realtà, mentre io e te siam qua a farci le pippe (metaforicamente, ovvio) negli States sono già alla caccia del leaker ( che, raggiunto da Buzzfeed, nel momento in cui scrivo pare abbia smentito, FYI). E la dinamica di tutto questo è assurda, perché i giornali americani (in un momento in cui sembrano abbastanza impegnati nella propagando anti-Russia/Putin nuova minaccia globale) non si fanno grossi scrupoli nell’incitare alla rimozione di immagini dal web, il primo giro per una testa a stelle e strisce strappata dal suo legittimo corpo, il secondo giro per una serie di fotografie private carpite con l’astuzia all’immaterialità della nuvola. Più o meno come se fossero la stessa cosa.

Ma le immagini sono una cosa complicata. Poi c’è la questione femminile. In effetti sono tutte donne, c’è un salsicciotto mi pare, ma è abbastanza di corredo e giusto solo in un paio di foto. Poi oltre che donne, sono celebrità. Celebrità donne. Belle donne: ovvero donne che di lavoro si prestano a incarnare l’immaginario di milioni di persone e che vengono pagate profumatamente per farlo. Cioè solo aver scritto questo paragrafo è stato come avventurarsi in un territorio molto sdrucciolevole. Potrei elegantemente salvarmi in corner come il buon Fabio Chiusi, che smascherando l’ipocrisia del polverone mediatico, dice che in un certo caso queste cose possono essere categorizzate tipo Paparazzi 3.0. Anche Chiusi ammette che ci sono infinite foto simili di tipe sconosciute sul web, non ricorda però che non hanno avvocati e multinazionali dell’intrattenimento che ne tutelino la reputazione online

E qua entra in gioco il povero James Foley. E, come nel caso di Foley, agitare lo spettro della rimozione del link è il modo migliore per andare a creare un caso laddove il caso non c’è. Mettere all’indice una fonte la rende imprescindibile. Almeno nella mia testa, scatta questo meccanismo: se stanno facendo tutto questo casino ci sarà un motivo. E vado a cercarmi il pomo della discordia come se da quello dipendesse la mia stessa sopravvivenza.


Io mi guardo le teste mozzate che trovo sul YouTube e alternative (principalmente Live Leak), però non so se sarei andato a guardarmi il video di Foley e le foto di The Fappening con, diciamo, le aspettative che TV, social network o vattelappesca mi avevano messo addosso, e se non fossero stati gli argomenti di discussione di questi ultimi giorni. E se su di loro non gravasse questo strano alone di proibito.

Il problema è però che internet è una cosa strana. Se su internet arriva qualcosa di brutto, o che non vogliamo, forse talvolta è ancora peggio che quella cosa venga rimossa, e che poi non ci si riesca e che su di essa aleggi una sorta di censura. Una lettera scarlatta digitale. Si crea un precedente, si crea la legislazione attorno a un precedente.

Può anche rimanere il dubbio che sia tutto artefatto, creato ad hoc e mixato al punto giusto tra fonti ufficiali e non per confondere e tenere impegnate menti suggestionabili come la mia. I meccanismi di fruizione con cui ci accostiamo al video di Foley e alle foto di The Fappening hanno, infatti, molto in comune in un caso con l’horror e nell’altro con la pornografia. Beninteso, non mi riferisco ai contenuti in sé (che poi in entrambi i casi, in soldoni, i contenuti non son poi così estremi), ma alle modalità a cui a essi siamo portati ad avvicinarci. Ma che cosa sono, in realtà, horror e pornografia, questi due generi un po' ambigui dell'intrattenimento? Sono entrambi messe in scena, teatrini, nient’altro che caricature, l'uno dell'amore e l'altro della morte.

Ci sono decine di video di decapitazioni su internet, perlopiù tristemente autentici, ma sono decontestualizzati per il pubblico occidentale. Le scritte sono in arabo e non è immediatamente chiaro il dove e il come (anche se Isis sta migliorando anche come SEO e poi su twitter andrebbe studiato come best practice di web marketing). Le immagini di Foley e quelle di The Fappening (pur essendo meno impressionanti e, paradossalmente, espliciti delle opere di finzione a cui possono essere accomunati) ci emozionano non per il loro contenuto (l’ultimo dei problemi), ma per il modo in cui ci arrivano.

Quando ormai tutto è infinitamente replicabile e disponibile “a un colpo di click”, riusciamo a provare un filo di emozione solo spiando (pubblicamente) foto rubate o immagini che ci stanno più o meno esplicitamente suggerendo che non dovremmo vedere. Il governo e i media diventano i nostro genitori. Per farci provare qualcosa, ci vuole il frutto proibito, quel brivido in più. Siamo spinti a rivivere un’ennesima replica della prima volta in cui guardammo qualcosa su cui pendeva un divieto. Ogni volta che c’è un medium più aggiornato, ritorniamo tutti come bambini.

E il video di Foley e le foto di The Fappening, utilizzando schemi che tradizionalmente appartengono a generi di finzione pur essendo, invece, reali (a meno di complottismi e interpretazioni a là Baudrillard della società dello spettacolo), ci rendono di nuovo come bambini che non sanno distinguere la realtà dal racconto. Ok, che i reality ci sono da un po’ e che informazione e intrattenimento si sono fusi, però questo sottogenere di nonfiction crossmediale e postmoderno, data la quantità di mitomani, fondamentalisti di svariate religioni e grillini delusi che c’è là fuori, rischia a lungo termine di dimostrarsi una strategia piuttosto rischiosa. E anche abbastanza spregiudicata nei confronti delle nostre – già compromesse – capacità mentali. O almeno delle mie, che non sono riuscito neanche a dormire bene perché avevo ancora in testa i ruggenti capezzoli di Kirsten Dunst.

@freakycharlie

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